Un gruppo di ricercatori del Regno Unito, guidato da John M. Dennis della University of Exeter Medical School, ha sviluppato un modello basato su dati clinici di routine per identificare le terapie più efficaci nel ridurre la glicemia nei pazienti con diabete di tipo 2. Il modello si basa su cinque differenti classi di farmaci, permettendo una scelta terapeutica personalizzata e soprattutto riducendo il rischio di complicanze.
Lo studio è stato pubblicato su “The Lancet”. Il suo scopo era quello di verificare se le caratteristiche cliniche di routine potessero predire l’efficacia glicemica relativa di cinque classi di farmaci: inibitori della dipeptidil-peptidasi 4, agonisti del recettore del glucagone peptide-1, inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2, sulfoniluree e tiazolidinedioni. Ma come è stato individuato e sviluppato? Attraverso dati osservazionali provenienti dall’Inghilterra, poi confrontato con esiti positivi con dati individuali di tre studi clinici già pubblicati.
Il modello utilizza nove caratteristiche cliniche di routine dei pazienti con diabete di tipo 2 al momento dell’inizio della terapia farmacologica: età, durata del diabete, genere, HbA1c basale, BMI, tasso di filtrazione glomerulare stimato, colesterolo HDL, colesterolo totale e alanina aminotransferasi. Questi sono stati considerati fattori predittivi, attraverso i quali è stato possibile sviluppare un modello capace di predire l’efficacia glicemica relativa delle cinque classi di farmaci.
Il lavoro ha messo in luce alcuni punti di grande interesse, che andranno quindi sviluppati in futuro per rendere sempre più efficaci i modelli utilizzati. Ad oggi, tra le altre evidenze, risulta che per quel che riguarda i cosiddetti esiti non glicemici a lungo termine, i gruppi concordanti con il modello mostravano un rischio simile di mortalità per tutte le cause, ma un rischio inferiore di eventi avversi cardiovascolari maggiori o scompenso cardiaco, progressione renale e complicanze microvascolari.
L’implementazione di questo modello nelle cure cliniche di routine in vari paesi del mondo potrebbe permettere quindi una personalizzazione della terapia antidiabetica e di conseguenza il notevole miglioramenti degli esiti dei pazienti con diabete di tipo 2.